\\ Blog : Storico : Lavoro (inverti l'ordine)


Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Una nuova generazione sovverte i valori tradizionali del lavoro

Sempre più aziende stanno familiarizzando con una nuova filosofia di lavoro che assegna meno importanza alle regole e alle gerarchie. Le nuove parole d’ordine sono flessibilità e una maggiore libertà di movimento. La cosiddetta “Generazione Y” cavalca l’onda di questo cambiamento.

generazione Y al lavoro
photo credit: francisco_osorio

Generazione Y

Così viene definita la schiera dei nati tra il 1980 e il 2000. Rifiutano categoricamente l’idea del vivere per lavorare e sono determinati a svolgere un lavoro in cui si sentano realizzati. I giovani occupati di oggi hanno aspettative sempre più elevate nella scelta della posizione lavorativa e mostrano una spiccata tendenza a interrogarsi sul “senso” di ciò che fanno, sul “perché”. Da questo fatto deriva l’appellativo “Y”, che in inglese si pronuncia “why”, ovvero “perché”.

Direttori del personale riferiscono che durante i colloqui di lavoro sono sempre di più i candidati che fanno domande circa la possibilità di adottare orari di lavoro flessibili e di organizzare liberamente le proprie mansioni.

Quando oggi un giovane si candida per una posizione lavorativa, a volte c’è la sensazione che si siano invertiti i ruoli, affermano alcuni direttori del personale: sembra quasi che sia l’impresa a doversi candidare per apparire allettante agli occhi di un potenziale candidato. Chiaro, c’è anche chi ancora si accontenta, ma nel caso di persone altamente qualificate e sulle quali valga la pena investire le esigenze sono davvero elevate. Per potersi assicurare richieste da parte di candidati validi, molte aziende di piccole e medie dimensioni cercano di darsi un’immagine che sia più al passo coi tempi, adottano un linguaggio da “startup”, sottolineano il fatto che in azienda non vigono forti strutture gerarchiche.

Stiamo descrivendo un mondo capovolto?

No. Molte imprese hanno semplicemente preso atto del fatto che la Generazione Y ha un modo completamente diverso di assegnare valore alle cose, rispetto a quello della tradizione precedente, quando il posto fisso costituiva ancora una delle massime aspirazioni di realizzazione personale, indipendentemente dalla posizione lavorativa svolta.

Altro tratto distintivo della nuova generazione di occupati è che il denaro non gioca più un ruolo determinante nella scelta del posto di lavoro. Significativa a riguardo è l’indagine condotta da Coldiretti su “I giovani e la crisi”, che mette in luce come tre italiani su quattro impiegati in grandi aziende (che percepiscono stipendi medio-alti) lascerebbero il proprio lavoro per dedicarsi a qualcosa di più sensato. La priorità viene quindi accordata al sentirsi bene al lavoro piuttosto che al portafoglio.

Una tendenza che può senz’altro andare a favore delle imprese che accettino di reinventare la propria struttura organizzativa in modo da accogliere queste aspettative di realizzazione personale.

Esigenza di flessibilità

Altro cambiamento in corso è che al contrario di qualche anno fa gli occupati di oggi sono molto più flessibili e disposti a trasferirsi in altre città o in altri paesi senza pensarci due volte. Se la cultura aziendale o le condizioni di lavoro non soddisfano le esigenze dei candidati, questi ultimi non esitano a guardarsi intorno alla ricerca di posizioni migliori. E di certo le reti sociali e Internet li aiutano a velocizzare questo processo.

L’equilibrio ideale tra lavoro e vita

Studi condotti nel settore lo confermano: un buon equilibrio tra vita e lavoro (il cosiddetto work-life-balance) viene tenuto in alta considerazione soprattutto dai giovani agli inizi della propria carriera. Questo nuovo modo di concepire il lavoro richiede senz’altro una certa riorganizzazione del tessuto imprenditoriale del nostro Paese, che deve prepararsi ad accogliere questa esigenza di flessibilità.

Per far ciò ad esempio alcune imprese pioniere hanno iniziato a introdurre gli asili nido aziendali, per aiutare i propri dipendenti a ottimizzare il rapporto tra lavoro e famiglia, fidelizzarli e costruirsi una buona immagine all’esterno. Il vantaggio immediato per i datori di lavoro è una maggiore produttività dei dipendenti (madri o padri) per mezzo della riduzione dello stress determinato dal dover combinare i ritmi lavorativi con le esigenze familiari. Persino l’offerta di corsi di yoga e di ginnastica posturale ai propri dipendenti è ormai all’ordine del giorno in molte imprese, soprattutto nel Nord Europa.

La nuova frontiera del lavoro virtuale

I modelli di lavoro flessibili sono quindi oggi più importanti che mai. A contribuire a questo cambiamento ci pensano anche gli ultimi sviluppi della tecnologia, in particolare l’introduzione del cloud computing e dei sistemi di virtualizzazione nella gestione dei processi aziendali.

La diffusione di smartphone e laptop permette alla nuova generazione di lavoratori di accedere 24h su 24 alla rete aziendale e di poter lavorare così anche in remoto, come in una sorta di ufficio virtuale.

Se i sistemi di virtualizzazione migliorano la qualità della vita lavorativa dei dipendenti, che hanno la possibilità di sganciarsi da postazioni fisse e orari di lavoro prestabiliti, anche i vantaggi per le imprese non sono da meno: dal maggior controllo sui processi aziendali, accessibili da qualsiasi dispositivo dotato di acceso a Internet, alla condivisione di file grazie a piattaforme di collaborazione che ottimizzano il work-flow.

Recentemente le imprese italiane si stanno rendendo conto del fatto che l’utilizzo di queste tecnologie e la conseguente flessibilizzazione delle strutture aziendali ha come effetto diretto un incremento della produttività dei dipendenti, e sono già stati fatti significativi passi avanti in questa direzione.

Il tutto sembra far pensare che al giorno d’oggi le imprese più attente al miglioramento delle condizioni lavorative dei dipendenti sono anche quelle che ottengono i maggiori risultati in termini di performance.

Di sicuro c’è che siamo a un punto di svolta del mondo del lavoro che deve ancora mostrare i suoi veri frutti. Resta da vedere quali nuovi equilibri tra lavoro e vita privata riusciranno a creare le imprese italiane, per restare “competitive” agli occhi della nuova “generazione Y” dei giovani lavoratori qualificati.

Quando vado in pensione?

Rispondere a questa domanda, soprattutto negli ultimi anni, sta diventando davvero difficile, considerando i continui mutamenti di governo e il susseguirsi di riforme delle pensioni. Al quesito posto diventa sempre più difficile dare una risposta definitiva.

Quando vado in pensione?

Pensioni: metodo contributivo

Se prendiamo in esame i cambiamenti avvenuti nel 2012, il calcolo delle pensioni col metodo contributivo è stato esteso a tutti, anche a chi aveva intrapreso a versare i contributi già dal 1978. L’attuazione del metodo contributivo è stata graduale e concernente solo la parte della pensione accumulata nel 2012 e non prima. Per quanto riguarda la condizione delle donne, che spesso è quella che angoscia in maggior misura, vediamo che l’età pensionistica più bassa, da gennaio 2012, è di 62 anni fino ad una età massima di 70 anni.

La situazione non è la medesima per le lavoratrici indipendenti, le quali, saranno obbligate ad aspettare un anno in più per la pensione, ed infatti lo faranno a 63 anni e sei mesi, ed ancora, chi preferirà il pre- pensionamento riceverà una detrazione del 2% per ogni anno d’anticipo.

È da specificare, però, che il pre- pensionamento è realizzabile solo se sono stati predisposti 41 anni più un mese di contributi.

Oltre a ciò per le lavoratrici indipendenti è previsto un dilatamento delle aliquote contributive di 0,3 punti per ogni anno fino a spingersi a due punti in più nel 2018. Non dimentichiamo però nel 2011 le aliquote erano del 21% per gli artigiani e i commercianti e del 33% per i lavoratori dipendenti.

Pensioni: prepensionamento delle donne, la proposta di Santini

C’è da dire però che la pensione, specialmente per le donne, diventa ogni anno che passa, quasi un miraggio, ma di recente sono arrivate delle novità relative al problema delle pensioni anticipate e al prepensionamento delle donne da parte di Giorgio Santini e dal Partito Democratico.

La proposta riguarda il prepensionamento a 62 anni, però questa è un’idea legata solo a specifiche categorie di lavoratori, cioè i lavoratori che hanno perso la loro occupazione e che si trovano in cassa integrazione in deroga.

Per quanto riguarda la pensione anticipata delle donne sappiamo bene che l’UE ha iniziato una procedura nei confronti dell’Italia per infrazione per le differenze di anni minimi per andare in pensione anticipata tra uomini e donne. Per le donne infatti, l’età minima è 41 anni e tre mesi, mentre per gli uomini 42 anni e tre mesi; in tal caso il problema per le donne è che gli anni per andare in prepensionamento siano equivalenti a quelli degli uomini, ma pare che quest’equiparazione non avrà luogo.

Tornando alla proposta Santini e alla sua ipotesi di prepensionamento, vediamo che concedere il prepensionamento a 62 anni a chi ha perso il lavoro, secondo il PD, comporterebbe un netto risparmio dei costi dello Stato per gli ammortizzatori sociali.

Ponendo ancora l’attenzione sulle donne, non dobbiamo dimenticare, concludendo, che ogni anno che passa, l’età minima per la pensione delle donne aumenta sempre di più, proprio a tal proposito fino al 2012 l’età minima per la pensione delle donne era 62 anni, ma vediamo che già a partire dal primo gennaio 2014 toccherà i 63 anni e mezzo e già si calcola che nel 2016 arriverà addirittura a 65 anni fino all’assurdo aumento previsto per il 2018 di 66 anni.

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